martedì 26 ottobre 2010

Recensione: Una Sconfinata Giovinezza, ovvero l'amore che può (quasi) tutto

Attenzione! questo post non contiene trama.


Non è mai facile parlare di un film che ti è piaciuto molto, che ti ha toccato. E' indubbiamente più semplice raccontarne uno carino, mediocre o pessimo perché ti consente di essere oggettivo. Bene, sappiate che non sarò oggettiva.
Penso che l'obiettivo di Pupi Avati fosse quello di raccontare una storia a cui nessuno potesse restare indifferente, forse perché si parla di malattia. E di una in particolare, l'alzheimer. E forse perché lo fa mettendosi dalla parte di chi questa malattia la subisce, insieme al malato. E' così che da storia di una malattia si trasforma, inevitabilmente nella storia di un amore.
Lino e Chicca sono i protagonisti, interpretati magistralmente da Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri. Non c'è molto da dire sulla trama, Lino si ammala e improvvisamente tutto cambia per lui, e per Chicca. La sofferenza, la violenza, l'abbandono e, infine, l'amore. Amore che si trasforma, passando da coniugale a filiale. Chicca trova il modo di comunicare con Lino, diventando insieme mamma e compagna di giochi. Commuovente la scena in cui giocano con i tappi di bottiglia sul pavimento di casa, proprio come fanno i bambini. Sì, perché Lino si è rifugiato nella sua infanzia, estraniandosi completamente dal mondo che lo circonda. E magari non ricorda più i nomi dei parenti, ma quelli dei ciclisti dell'epoca se li ricorda bene, e include la sua Chicca in questo suo viaggio infantile. Lei si lascia guidare da questo eterno ragazzo che le mostra una realtà, non tangibile, ma vivida nella sua mente.
Questa componente di memoria ci consente di immergerci nel passato  del nostro protagonista. Un passato triste, per via della morte dei genitori, costituito essenzialmente da una casa di campagna in cui passare l'estate con gli zii e i ragazzi del paese: il ragazzo senza palato, il mitico guaritore, la ragazzina da spiare, il cane Perché. Avati ne approfitta per descrivere, con occhio cinico, la pochezza di certi individui di campagna che contrappone, con abilità, alla famiglia di Chicca, borghese e benestante, ma altrettanto priva di sensibilità.
Che dire del finale? Sorprendente nella sua semplicità. Poco realista, fa però venire da pensare che non poteva finire altrimenti. Poetico.
Il film è assolutamente da vedere. So che può far paura a chi, per età, si immedesima con il protagonista maschile ma bisogna superare questo iniziale timore. La ricompensa è la sensazione che ti pervade quando si esce dal cinema: una sconfinata tenerezza. Buona visione.
Bisous,
Marta



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