martedì 26 ottobre 2010

Recensione: Buried, l'essenziale che funziona

Attenzione! questo post non contiene trama

Di questo film se ne è parlato moltissimo. Per questo motivo sono andata al cinema sapendo che mi sarei ritrovata a passare un'ora e mezza chiusa in una bara con lo splendido Ryan Reynolds. Ammetto che la sua presenza aiuta a superare la terribile claustrofobia che si accusa nei primi 20 minuti nel film, anche se poi, in tutta onestà, ci si abitua. 
L'estrema semplicità di questo film è la sua vera forza. L'ambientazione è fissa, le riprese sono fisse sull'unico attore presente per tutta la durata della pellicola. Il protagonista regala una prova, a parer mio, straordinaria. Mai un ammiccamento al pubblico, mai un'espressione sorniona, solo essenziale interpretazione del dolore, della paura e della rabbia. Le sue capacità unite al sapiente uso delle inquadrature rendono la narrazione molto fluida, tanto che alla fine ci si dimentica di essere stati chiusi in una cassa tutto quel tempo.
La storia non è molto complicata e il finale a sorpresa di cui si è sentito tanto parlare, se ci si pensa bene, non è niente che non ci si possa aspettare fin dall'inizio. Tenendo conto delle varie infarciture di pacifismo tutto all'americana trovo che questa sceneggiatura sia ben riuscita soprattutto nella parte di critica alla burocrazia. Le telefonate che il protagonista fa cercando di cambiare il proprio tragico destino vengono messe a dura prova da jingle e operatori di call-center inetti che fanno crollare i nervi e perdere la speranza. Ne emerge un senso di impotenza che infastidisce molto più dell'impossibilità di muoversi.  L'alternanza di momenti di rassegnazione con altri in cui sembra che la soluzione sia vicina crea una tensione che resta palpabile, e plausibile, per tutta la durata del film. Tanto che lo spettatore si ritrova ad immaginare soluzioni assurde, intrighi internazionali, per poi piombare nel più bieco cinismo e, ancora, sperare nel tanto agognato happy ending.
Particolarmente apprezzato per una riduzione ai minimi termini passata di moda in questo periodo di film pieni zeppi di effetti speciali inutili e noiosi, questo film è un bel thriller, sicuramente particolare e diverso dal solito che merita di essere visto. Anche solo per l'intenzione iniziale. Con un occhio a Tarantino.
Bisous,
Marta

Recensione: Una Sconfinata Giovinezza, ovvero l'amore che può (quasi) tutto

Attenzione! questo post non contiene trama.


Non è mai facile parlare di un film che ti è piaciuto molto, che ti ha toccato. E' indubbiamente più semplice raccontarne uno carino, mediocre o pessimo perché ti consente di essere oggettivo. Bene, sappiate che non sarò oggettiva.
Penso che l'obiettivo di Pupi Avati fosse quello di raccontare una storia a cui nessuno potesse restare indifferente, forse perché si parla di malattia. E di una in particolare, l'alzheimer. E forse perché lo fa mettendosi dalla parte di chi questa malattia la subisce, insieme al malato. E' così che da storia di una malattia si trasforma, inevitabilmente nella storia di un amore.
Lino e Chicca sono i protagonisti, interpretati magistralmente da Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri. Non c'è molto da dire sulla trama, Lino si ammala e improvvisamente tutto cambia per lui, e per Chicca. La sofferenza, la violenza, l'abbandono e, infine, l'amore. Amore che si trasforma, passando da coniugale a filiale. Chicca trova il modo di comunicare con Lino, diventando insieme mamma e compagna di giochi. Commuovente la scena in cui giocano con i tappi di bottiglia sul pavimento di casa, proprio come fanno i bambini. Sì, perché Lino si è rifugiato nella sua infanzia, estraniandosi completamente dal mondo che lo circonda. E magari non ricorda più i nomi dei parenti, ma quelli dei ciclisti dell'epoca se li ricorda bene, e include la sua Chicca in questo suo viaggio infantile. Lei si lascia guidare da questo eterno ragazzo che le mostra una realtà, non tangibile, ma vivida nella sua mente.
Questa componente di memoria ci consente di immergerci nel passato  del nostro protagonista. Un passato triste, per via della morte dei genitori, costituito essenzialmente da una casa di campagna in cui passare l'estate con gli zii e i ragazzi del paese: il ragazzo senza palato, il mitico guaritore, la ragazzina da spiare, il cane Perché. Avati ne approfitta per descrivere, con occhio cinico, la pochezza di certi individui di campagna che contrappone, con abilità, alla famiglia di Chicca, borghese e benestante, ma altrettanto priva di sensibilità.
Che dire del finale? Sorprendente nella sua semplicità. Poco realista, fa però venire da pensare che non poteva finire altrimenti. Poetico.
Il film è assolutamente da vedere. So che può far paura a chi, per età, si immedesima con il protagonista maschile ma bisogna superare questo iniziale timore. La ricompensa è la sensazione che ti pervade quando si esce dal cinema: una sconfinata tenerezza. Buona visione.
Bisous,
Marta



sabato 2 ottobre 2010

Recensione: Benvenuti al Sud, quando il pregiudizio diventa divertente

Attenzione! questo post non contiene trama.


Che non avesse grandi pretese lo si era capito sin dal trailer. La conferma arriva guardando il film, che non vuol essere più di quello che è. Una bella commedia.
Remake ufficiale di Giù al Nord, con tanto di piccolo cameo del protagonista Dany Boom, Benvenuti al Sud ripropone le stesse tematiche e la stessa struttura del successo francese. Con la differenza che, questa volta, nulla si perde nella traduzione e il gioco dei dialetti, base della comicità del film, riesce alla perfezione. Le gag e i tempi comici sono magistralmente gestiti dai due attori protagonisti, Claudio Bisio e Alessandro Siani. L'etera lotta tra Nord e Sud, con i pregiudizi e gli stereotipi che già ci fa tanto sorridere nella realtà, qui fa ridere, e molto.
Bisio, pur senza perdere la dolcezza e la lieve malinconia che ne caratterizzano lo sguardo, fa il comico puro, eccellendo. La Finocchiaro, nella magistrale interpretazione di moglie polentona e assurdamente nevrotica, si alterna alla Lodovini, che si conferma attrice capace e fiera rappresentante della donna mediterranea. Il cast nell'insieme funziona, i personaggi fortemente caratterizzati conferiscono alla pellicola un'allure quasi teatrale.
La trama, pur essendo semplice e già vista, risulta scorrevole e le due ore scivolano velocemente, tra una risata e l'altra. 
La capacità di questo film sta nel trattare la tematica della differenza in modo sufficientemente leggero da non risultare pretenzioso ma senza sfociare nella mera commedia degli equivoci, all'italiana. Ci sono anche due belle storie d'amore, diverse per età e provenienza geografica dei protagonisti, che inteneriscono e divertono allo stesso tempo. Insomma, non manca proprio niente. La fotografia è bella e ricca, i dialoghi sono ben strutturati e la trama è arricchita da un pizzico di romanticismo.
Si esce dal cinema sapendo di non aver sprecato due ore della propria vita. Il che, visti i tempi, è già un gran bel successo.
Bisous,
Marta